Occhi

Lo sguardo si perde nell’oscurità oltre al finestrino. Cerca nel vuoto di metter ordine a quella mistura di ragione e sentimenti, capire quanto si deve accettare il corso delle cose e quanto lo si può guidare. Quegli occhi alieni paiono dell’acqua di un mare remoto e i loro riflessi son oscuri come le emozioni che celano.

Sembra che siamo destinati a non capirci, le nostre espressioni e le nostre apparenze sono estranee le une alle altre ma sotto quella fronte piatta e quel muso dalle dritte linee lo sguardo è accogliente.

Nell’oscurità di questo bar gli occhi riflettono una spettrale luce rossa e tra quei denti larghi sembra colare il sangue di un capretto appena sbranato. Invece sorride e parla di calcio.

La sua figura imponente si inclina in avanti oscurando la luce nella stanza, alla sua terza ripetizione la sua voce diventa grossa e più che chiarire spaventa. Poi gira gli occhi a lato, tira un sospiro, lo sguardo si fa dolce e ripete, lentamente.

La bocca articola a cadenza discorsi complessi, collegati ad arte e ripetuti quasi meccanicamente. L’attenzione è tutta negli occhi. Sembrano intraprendere da soli il loro dialogo, provocano e studiano, s’agguzzano come per sfida ma si ammorbidiscono sempre alla fine.

Le parole non bastano, a volte addirittura non servono. Tra quella fila di teste in movimento quizza uno sguardo e con quegli occhi comincerà una comunicazione di fughe e inseguimenti, prove di coraggio e fantasia.

Le parole suonano invece vuote, inutili. Tutta l’attenzione è in quello sguardo pieno di terrore e di inadeguatezza che tradiscono discorsi di circostanza.

I discorsi ora sono serrati e precisi, ma gli occhi che girano nel vuoto li negano, come se di importante fosse ben altro.

I colori di quell’iride sono gli elementi di una storia. Il rumore delle scarpe che strindono sul pavimento della palestra non si sente quasi più. Le mani si spostano da destra a sinistra, si frappongono al viso ma tutto si ferma nell’istantanea di quello sguardo. Come dipinti tratti di blu, verde e marrone son le sovrapposizioni di tutti i bellissimi paesaggi che quegli occhi han riflesso. Raccontano la loro storia vissuta sulle spiagge dell’Atlantico.

Il suo corpo balza fuori dall’acqua senza neanche spruzzare, la mano accompagna docile la palla raccolta al volo e la fa ruotare in un dolce ma deciso slancio. Mani attorno si affannano a recuperare la palla che inesorabilmente entra in porta. Di tutta risposta annicca, e il suoi chiari occhi si perdono lontano, lontano dall’acqua, dalla porta e da tutto.

Il ragazzo al suo fianco è un putto: d’oro i capelli, il cielo negli occhi e un sorriso spensierato.

Gli anni non hanno smorzato il piacere del gusto e quegli occhi affondano nel gelato con la foga di un bambino. Quando si accorgono di essere osservati tornano alla dignitosa apparenza di un maturo controllo.

Quella bambina siede al bordo della piscina. Ritira il piede perché vede l’acqua come un mondo estraneo e spaventoso. Da adulta lo sguardo è ormai dal mondo distante mentre cadenza per telefono quel che l’ordine ha deciso.

Lo sguardo quizza tra la fila di teste e due vividi occhi cercano tra la gente dei nuovi colori da aggiungere alla propria tavolozza.

Su quel volto è disegnato il puro terrore mentre guarda il ragazzo a terra respirare affannoso vicino a due guardie mediche. Guarda intorno i segni del loro delirio agognando di riportare tutto al divertimento di cinque minuti prima.

In quegli occhi cerca di far spazio una labile luce di coscienza per cercare inutilmente di guidare quel corpo traballante.

La loro differenza d’altezza è notevole ma lei si gira e incontra subito collo sguardo i suoi occhi, abituata a trovarli, sicura di trovarli.

Di quella vita senza forma cerca coll’alcool di giustificare la confusione. È solo negli occhi di lei che lascia il suo punto fisso.

Col sorriso cerca di proteggere il suo piccolo amore segreto che quegli occhi adorano e non vogliono tradire.

A fine giornata la mano cerca di alleviare un po’ il peso della pancia ma da sostenerla passa presto ad accarezzarla come bastasse per sopportane la fatica.

Mette la mano sull’addome ancora piatto per svelare il suo intimo segreto che ancora vuol tenere per quella nuova cosa che si chiama famiglia.

Cammina allegra per la strada sapendo di portare in sé tutto il mondo che le serve.

Un cerchio campeggia nel mezzo del riquadro, mostra il confine tra il bianco vivo e un marrone delicato. Al centro del cerchio uno più piccolo, concentrico, interrompe il marrone e con il suo nero scuro mostra profondità non sondabili, il pudore di quel che non si può descrivere. Tutt’attorno due morbide curve racchiudono il gioco di cerchi, sfere e riflessi: una arcuata u si chiude su una stirata s e lunghe linee svettanti verso l’alto danno risalto ai volumi che dal piano fuggono.

Così l’ombreggiatura al di sotto estrae dalla figura un emozione. Le linee si succedono attorno al centro, ne fanno risaltare la distanza e ne amplificano la forma. Attorno, i chiarori danno un dolce contrasto tra le forme e quel segno di morbidezza trasforma man mano una raffigurazione che diventa sentire, mostra piacere ma forse allo stesso tempo stupore. Son infine i lunghi tratti al confine che sfumano poi la scena e lo sguardo si perde in un intreccio di fili d’oro e ghirlande dove le interpretazioni si fermano e l’estetismo resta.